Brescia: nel 2023 la produzione industriale registra una leggera flessione rispetto al 2022 (-0,2%)

Nel 2023, l’attività produttiva nel settore manifatturiero bresciano ha registrato complessivamente una debole flessione (-0,2%) sul 2022, dopo i rilevanti movimenti di crescita sperimentati nel biennio precedente (+14,8% nel 2021 e + 5,4% nel 2022).  Si tratta del primo “segno meno” per l’industria locale dal lontano 2013 (se si esclude l’eccezionale 2020), frutto di una componente propria negativa (-0,7%), solo in parte compensata dalla crescita ereditata dal 2022 (+0,5%).

A evidenziarlo è l’indagine congiunturale del Centro Studi di Confindustria Brescia sui dati relativi al periodo ottobre-dicembre 2023.

Con riferimento al solo 4° trimestre del 2023, la produzione mostra una crescita, segnando una variazione grezza rispetto al trimestre precedente pari a +1,6% (congiunturale); la dinamica nei confronti dello stesso periodo del 2022 (tendenziale) evidenzia invece una nuova contrazione (-2,3%), di intensità maggiore rispetto a quanto riscontrato nei già deboli trimestri precedenti. La variazione trasmessa al 2024 è negativa (-1,6%), giustificata dall’indebolimento dell’industria locale rilevato a partire dalla primavera del 2023: ciò sta a indicare che la crescita nell’anno in corso sarà zavorrata, dal punto di vista algebrico, dalla negativa performance nel 2023.

“Come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare, il Made in Brescia ha pagato, nel corso del 2023, una serie di fattori, tra cui spicca il generalizzato rallentamento del settore produttivo a livello mondiale – commenta Franco Gussalli Beretta, presidente di Confindustria Brescia –, con l’indice PMI globale che a dicembre 2023 si è attestato per il sedicesimo mese consecutivo sotto la soglia che delimita la crescita dalla contrazione. A ciò si aggiungono la conclamata debolezza della Germania, nostro principale partner commerciale, la flessione del commercio internazionale, in contrazione del 2,1% nei primi undici mesi del 2023 sullo stesso periodo del 2022, la prosecuzione della fase restrittiva del credito alle imprese, che determina, tra l’altro, l’innalzamento dei tassi applicati al settore produttivo e la contestuale contrazione dell’ammontare dei prestiti a disposizione dello stesso. I segnali sono già evidenti: nel 3° trimestre dell’anno concluso la domanda di lavoratori in somministrazione ha evidenziato una brusca flessione (-28% rispetto allo stesso periodo del 2022), a cui si aggiunge il leggero aumento delle ore di CIG autorizzate, superiori al 2022, proprio a causa della maggior preoccupazione delle aziende riconducibile agli scenari geopolitici incerti. Sono tutti aspetti che, di fatto, ci trascineremo anche nel 2024 da poco iniziato e che ci inducono a essere cauti sulle previsioni per l’anno, pur nella consapevolezza della forza mostrata dal nostro sistema imprenditoriale, che è stato in grado di rendersi più forte a livello patrimoniale rispetto alle crisi del passato.”

  • Nell’ultimo trimestre del 2023 il 32% degli operatori intervistati ha dichiarato una crescita dell’attività rispetto al periodo precedente, a fronte del 40% che si è espresso per il mantenimento dei volumi prodotti e del 28% che invece ha segnalato una flessione degli stessi.
  • La disaggregazione della variazione della produzione per classe dimensionale mostra andamenti particolarmente differenziati: -1,0% per le imprese micro, -0,1% per le piccole, +3,6% per le medie e +7,0% per le grandi.
  • Con riferimento alla dinamica congiunturale per settore, l’attività produttiva ha evidenziato generalizzati “segni più”, pur in presenza di una forte dispersione delle dinamiche. Consuntivi positivi provengono dalle realtà del chimico, gomma e plastica (+4,9%), della metallurgia (+4,6%), dell’alimentare (+3,6%), del sistema moda (+0,8%) e della meccanica (+0,3%).  Il comparto legno e minerali metalliferi (-0,8%), si caratterizza invece per una flessione dell’output.
  • Il tasso di utilizzo della capacità produttiva si è attestato al 76%, in leggero aumento rispetto alla rilevazione precedente (75%), ma in diminuzione del 3% nei confronti di quanto misurato nel 4° trimestre del 2022 (78%).
  • Le vendite sul mercato italiano sono aumentate per il 33% delle imprese, rimaste invariate per il 39% e diminuite per il 27%. Le vendite verso i Paesi comunitari sono cresciute per il 23% degli operatori, calate per il 29% e rimaste stabili per il 48%; quelle verso i Paesi extra UE sono aumentate per il 19%, diminuite per il 26% e rimaste invariate per il 55% del campione.
  • I costi di acquisto delle materie prime sono in rilevati in crescita dal 25% delle imprese, con un incremento medio pari allo 0,4%; tale evoluzione (particolarmente blanda), unita alle flessioni rilevate nei due trimestri precedenti, confermerebbe la fase di raffreddamento che da qualche mese sta colpendo l’economia globale. Sempre tra ottobre e dicembre, i prezzi di vendita dei prodotti finiti sono stati mantenuti stabili dal 67% degli operatori, per una variazione sostanzialmente nulla nei confronti di quanto riscontrato nel periodo precedente. Le suddette evoluzioni certificherebbero quindi l’assestamento delle tensioni rilevate negli ultimi anni, sebbene non si intraveda una reale inversione di tendenza dei movimenti che hanno caratterizzato la ripresa post pandemica: va infatti evidenziato che la perdita di marginalità cumulata a partire dal terzo trimestre 2020 è senza precedenti: +37% i prezzi di vendita, contro +129% dei costi di acquisto.
  • La domanda insufficiente si conferma come il principale fattore che limita la produzione: ciò ha riguardato il 40% delle realtà intervistate, una quota in sensibile aumento rispetto all’analogo periodo del 2022 (22%), in assoluta continuità con quanto rilevato nelle due rilevazioni precedenti. Si tratta di numeri che, di fatto, non si riscontravano dal 2020, da quando il sistema economico locale stava affrontando l’emergenza Covid-19. Il secondo elemento maggiormente segnalato dalle aziende riguarda la scarsità di manodopera (12%), mentre lo shortage di materie prime e semilavorati riguarda solamente il 4%. Va poi ricordato come le tensioni finanziarie (innescate anche dalla stretta creditizia di questi ultimi mesi) siano denunciate solamente dall’1% degli operatori intervistati; si tratta di un elemento positivo, che sarebbe (in buona parte) giustificato dagli ingenti sforzi compiuti, in questi ultimi anni, dal sistema produttivo locale sul versante della patrimonializzazione delle aziende: ciò ha reso tali realtà meno vulnerabili di fronte a momenti di inasprimento dell’offerta di credito.
  • Le previsioni per i prossimi mesi sono sostanzialmente orientate al mantenimento dei livelli produttivi raggiuti nell’ultimo trimestre del 2023: di questo ne è convinto il 58% del campione, a fronte del 24% che esprime ottimismo per l’immediato futuro e il 18% che invece propenderebbe per una flessione dell’attività. Lo scenario in cui le imprese saranno chiamate a lavorare si caratterizza infatti da dense incognite. Fra gli elementi di potenziale positività vanno citati: la possibile ripresa della locomotiva tedesca (la cui crescita sarebbe comunque attesa attestarsi su ritmi tutt’altro che esaltanti), le basse quotazioni degli input energetici (i cui prezzi sono largamente rientrati dopo gli shock degli anni precedenti), la stabilizzazione dell’inflazione (che potrebbe facilitare, anche se non nell’immediato futuro, una riduzione del costo del denaro). Fra i fattori di rischio, vanno invece ricordati: la diffusa stagnazione a livello globale del settore manifatturiero, i numerosi focolai di tensione geopolitica sparsi per il mondo e le possibili conseguenze sui flussi commerciali derivanti dalla forte riduzione dei transiti nel canale di Suez per gli attacchi del gruppo yemenita degli Houti che, se dovessero prolungarsi nel tempo, potrebbero innescare nuove pressioni inflattive e, pertanto, ritardare l’avvio della fase di normalizzazione della politica monetaria.
  • In tale contesto, i settori con le prospettive più positive sarebbero meccanica, metallurgia, legno e minerali metalliferi. Le imprese dei comparti chimico, gomma e plastica, sistema moda esprimono invece un ottimismo più cauto.
  • Gli ordini provenienti dal mercato domestico sono in crescita per il 25% delle aziende, stabili dal 58% e in calo dal 17%. Quelli da parte degli operatori comunitari, sono dichiarati in aumento dal 18% delle imprese, invariati per il 67% e in flessione per il 15%. Quelli in arrivo dai mercati extra UE sono in crescita per il 22%, stabili per il 65% e in contrazione per il 13%.