Gli informatici scappano: ecco come trattenerli in azienda

Nelle aziende e tea gli addetti ai lavori è ormai una cosa nota che negli ultimi anni il numero di persone che ha deciso di lasciare il proprio lavoro per cercare fortuna altrove è aumentato in modo marcato, dando per l’appunto vita a quel fenomeno internazionale conosciuto come “Great Resignation”. Per le aziende è così diventato via via sempre più difficile fidelizzare i propri collaboratori, avendo a che fare con dei tassi di turnover in crescita. I numeri dell’ultimo Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano confermano questo trend.

Stando all’Osservatorio, infatti, l’8% dei lavoratori italiani ha volontariamente cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi, in seguito alla ricezione di una nuova offerta lavorativa; c’è invece una fetta del 3% cha ha rassegnato le dimissioni senza nemmeno aver avuto un’alternativa in mano. E c’è di più: il 12% dei lavoratori avrebbe intenzione di lasciare il lavoro attuale in un periodo compreso tra i 6 e i 12 mesi, mentre il 23% pianifica di compiere questo passo tra i 12 e i 18 mesi.

Il popolo dei “dimissionari” è quindi in crescita. Ma chi sono i lavoratori più difficili da fidelizzare, che dunque hanno maggiori probabilità di mettersi alla ricerca di un nuovo lavoro e a breve lasciare un’azienda?

Stando alle indagini fatte finora, il rischio è maggiore nel caso dei giovani, fino ai 27 anni; guardando invece ai ruoli, sembra chiaro che le professioni digitali sono le più “instabili”, con i talenti ITC che più raramente sono disposti a fermarsi a lungo nella medesima azienda. Anzi, in diverse aziende il ricambio del personale informatico vede una frequenza che si avvicina pericolosamente alla media dei 12 mesi.

Per quale motivo proprio i talenti informatici sono quelli con una maggiore propensione a lasciare l’azienda?

Lo abbiamo chiesto a Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati <http://www.adamiassociati.com> , società internazionale di head hunting. «La causa principale del più alto numero di dimissioni tra i professionisti IT è molto semplice: attualmente c’è un’altissima ricerca di competenze informatiche, con un mercato del lavoro che quindi per questi profili risulta molto florido e attrattivo».

Questo non significa però che le aziende non possano fare nulla per trattenere i propri informatici, siano essi sviluppatori, sistemisti o IT manager: «fidelizzare i propri talenti, anche quelli IT, non è certo impossibile» spiega Adami, specificando che «in uno scenario che vede i tassi di turnover in generale aumento, le aziende hanno tutti i vantaggi nell’investire su delle efficaci strategie di fidelizzazione, così da mantenere il proprio tasso di ricambio del personale al di sotto di livelli patologici e propriamente dannosi».

Come sottolinea l’head hunter, infatti, un minimo ricambio del personale è benefico, sapendo che immettere in azienda nuovi punti di vista, nuove esperienze, nuovi background e nuove skills è tra gli elementi più importanti per far crescere un business.

Resta dunque da capire come aumentare il livello di fidelizzazione dei professionisti IT.

«Il primo passo» spiega Adami «è individuare e comprendere le ragioni che stanno portando i propri collaboratori alle dimissioni. I motivi possono essere i più diversi, ma nella maggior parte si tratta della mancanza di stimoli, del desiderio di maggiore flessibilità, della volontà di avere una retribuzione maggiore, oppure di quella di avere dei benefit migliori. Da qui dunque l’importanza, una volta individuata la criticità, di offrire una soluzione tempestiva: la possibilità di lavorare in smart working, anche parzialmente; la costruzione di un piano di carriera insieme al proprio responsabile, così da condividere i passi da fare verso una promozione o un aumento di stipendio; la revisione del piano di welfare aziendale.

«Non va trascurato» conclude Adami «il fatto che il tasso di turnover si alza talvolta già al momento del processo di selezione del personale: spesso è proprio una selezione poco attenta dei talenti, unita a un processo di onboarding non ottimale, a compromettere fin dall’inizio il rapporto tra dipendente e azienda». Per questo è sempre bene affidarsi a dei professionisti, quando si tratta di ricerca e gestione dei talenti.