«Arawordbridge» in tre giorni costruito un ponte di parole … tra passato e futuro

Doveva essere un ponte di parole fatto per unire le due province, e così è stato. “Arawordbridge” ha riempito tutti gli spazi a disposizione in ognuna delle tre serate, catturando anche l’attenzione dei passanti e di qualche spettatore che ha preferito assistere agli eventi proposti direttamente sulla barca, cullato dalle onde del lago.

Ad aprire la tre giorni di musica, teatro e giornalismo il cantautore veronese Massimo Bubola con lo spettacolo-reading “Sognai talmente forte”, tratto dal suo ultimo libro. Interessante il percorso musicale proposto frutto in gran parte della collaborazione con Fabrizio de André, fatto di un repertorio che anche ai più giovani non risultava nuovo all’ascolto, con i brani che, come quadri, avevano nell’accompagnamento con la voce di Lucia Miller la loro cornice naturale. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco e così l’egocentrico cantautore che «all’ombra dell’ultimo sole» ha dimostrato di soffrire ancora il successo di un sodalizio storico durante il quale ha scritto, con e per Fabrizio De André, capolavori che hanno fatto la storia della musica leggera italiana invece di dedicare le sue energie all’interpretazione di quelle poesie in musica ha preferito movimentare la serata duettando a destra e a manca con quella parte della piazza che a suo dire turbava la sua quiete e quella pubblica. Probabilmente Bubola, «nelle notti insonni vegliate al lume del rancore», per non essere riconosciuto come principale protagonista del successo di Faber ha preparato gli esami per diventare procuratore ergendosi a giudice unico in grado di sentenziare che sia la piazza con gli avventori dei suoi locali, che i passanti sul lungolago fossero corpi estranei in grado di essere ripresi, a volte sospendendo anche l’esibizione alla smaniosa ricerca di catturare l’attenzione. Tutto questo dimenticando che il tema di questa tre giorni era il confine, inteso come unione, risorsa, scambio di idee; invece, quello di venerdì sera è stato, più che un confine, un fronte. Da un lato «il giudice» che se avesse potuto avrebbe affidato “con piacere tutto suo” una buona parte della piazza al boia, e dall’altro «il fannullone» che, trovandosi in quella piazza per una cena o un aperitivo organizzati da tempo hanno visto, sulla loro serata di chiacchiere e di festa, pendere le allusioni de «il bombarolo».

Decisamente diversa l’aria che si è respirata nella piazza stracolma nel corso della seconda serata, durante la quale tutti gli spettatori presenti (compresi quelli nei bar o quelli che alla terra ferma hanno preferito gustarsi lo spettacolo direttamente dal lago) hanno potuto respirare della comicità surreale di Gene Gnocchicon il suo “Il movimento del nulla” dove, tra una battuta e l’altra, si è potuto intuire come nella realtà ci sia ben poco da ridere. Ma per una sera il confine tra il quotidiano con le difficoltà di ogni giorno, gli aumenti dell’energia elettrica, il caro benzina, e le promesse di una politica fatta di tante parole che ad oggi non solo avrebbero dato vita al Ponte sullo Stretto, ma avrebbero realizzato tante altre opere. E per ripartire dopo la parziale delusione della prima serata … «menomale che Gene c’è!».

Dopo il salto di qualità e di empatia con il pubblico tra la prima e la seconda serata, l’ultimo appuntamento in calendario è stato in grado di regalare emozioni oltre ogni aspettativa. A fare da antipasto al concerto di Eugenio Finardi, una tavola rotonda alla quale hanno partecipato oltre allo stesso cantautore milanese, anche l’editorialista ed ex direttore de Il Sole 24 Ore e del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, e il direttore di Bergamo News, Davide Agazzi. Ad accompagnarli in un viaggio lungo 50 anni, fra la storia del cantautore milanese e l’attualità, con un occhio di riguardo al cambiamento culturale a cavallo della pandemia, il fondatore e direttore di Araberara, Piero Bonicelli. Ai 662 presenti al Teatro Crystal di Lovere, gremito in ogni ordine di posti (e con una lista d’attesa che nei giorni precedenti all’evento ha raggiunto numeri in grado di riempire un secondo teatro), concludere la serata ascoltando il racconto dei 4 protagonisti, sarebbe forse bastato. Ma quando una delle pietre miliari della nostra musica sale su un palco, ed è accompagnata da due musicisti del calibro di Mirko Signorile al pianoforte e Raffaele Casarano al sassofono, l’attesa per il racconto musicale di una carriera sale. E con Euphonia quello proposto da Finardi non è stato uno spettacolo fatto solo della reinterpretazione di brani che lo hanno reso celebre, ma un coinvolgente percorso fatto di musica e parole che hanno costruito quel ponte di parole (mancato nella prima serata) protagonista di questa tre giorni, un ponte che ha unito il passato al futuro dimostrando, ancora una volta, che la musica italiana di qualità è in grado di attraversare ogni epoca nonostante i cambiamenti culturali che la stessa porta con se. E come se non bastasse, prima di dare il via ad una lunga sinfonia composta da 17 brani, è stato lo stesso protagonista della nostra scena musicale a chiedere ai presenti di interrompere con applausi spontanei la loro esibizione. Un confine netto tra due coetanei, protagonisti della nostra musica, con solo 5 anni di differenza di carriera musicale alle spalle.

Dopo questo successo a Lovere sono pronti a costruire un nuovo ponte, e proprio da ciò che è stato fatto a Lovere potrebbe essere preso lo spunto per costruire il ponte sullo Stretto. Ovviamente di parole.