Angelo, quando la disponibilità verso gli altri si trasmette col DNA

La Franciacorta è famosa nel mondo, non solo per i suoi vini o per la sua cucina. Un altro elemento che da valore a questa terra, è la sua gente e le attenzioni di questa gente verso chi ne ha più bisogno.

E tra queste genti che lavorano nell’ombra per provare a migliorare le condizioni di vita dei meno fortunati, abbiamo trovato Angelo Faustini, orgogliosamente di Paderno Franciacorta come tiene a precisare, che 36 anni fa è partito per il Brasile con l’intenzione di provare una nuova esperienza.

Sappiamo che 36 anni fa hai lasciato Paderno, destinazione Brasile, per abbracciare il progetto dell’Associazione Operazione Lieta; cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?

Il 2 luglio del 1985 sono venuto in Brasile per fare un’esperienza. Volevo mettere alla prova il mio essere cristiano.

Lasciare la propria terra vuol dire, in qualche modo, staccarsi dalle proprie origini. Oltre alla famiglia ed agli amici, cosa ti è dispiaciuto lasciare quando hai preso la decisione di partire?

Praticavo sport, anche a livello agonistico, avevo un lavoro, mi piaceva stare con gli amici e andavo a messa la domenica. In un piccolo paese, a quei tempi, se non si andava a messa si veniva subito giudicati.
Una delle attitudini che cerco di evitare, sin da quando ho cominciato a chiedermi chi fossi e cosa volevo, è l’ipocrisia. Non sempre mi riesce. Il fatto di dover mostrare ad altri, a seconda delle occasioni, quello che non ero, era un peso che veramente facevo sempre più fatica a sopportare. Accettarsi per quel che si è non sempre è facile ma credo mentire ad altri e a sé stessi per tutta una vita sia ancora più difficile.

In questo lungo periodo lontano dalla Franciacorta e dalle tue origini, sicuramente il tuo bagaglio di ricordi ed emozioni si sarà arricchito. Qual è stato il tuo ricordo più significativo da quando sei in Brasile?

Il ricordo che ho ancora impresso nella mente, è proprio quello che hanno visto i miei occhi quando sono arrivato in questa terra. E’ tutto un discorso di prospettiva e percezione perché se te lo raccontano ti fa un certo effetto, ma quando sono i tuoi occhi a vedere la situazione… Per quanto riguarda le emozioni, invece, sono quasi indescrivibili; e sono tutte rinchiuse negli occhi e nello sguardo che questi bambini ci regalano ogni giorno.

Facendo un salto nel passato, cosa ricordi del tuo arrivo in Brasile?

Se devo fare un salto nel passato fino al mio arrivo in Brasile, devo dire che quello che mi ha colpito subito è il senso delle distanze. In macchina, dall’aeroporto fino a Pacoti, ho viaggiato in compagnia di un ragazzo che parlava abbastanza bene l’italiano perché era stato da noi a studiare. E tra le tante domande che gli facevo si è venuti sull’argomento frutta e, da buon franciacortino, ho detto: «Certo che l’uva, qui da voi, non crescerà, fa caldo tutto l’anno!». Lui, candidamente, mi risponde: «Come no, qui a mille chilometri fanno persino il vino!».

Da noi in Italia il “qui” non regge l’abbinamento con “mille chilometri”!

Di cosa ti occupavi quando eri in Italia? E qual è oggi il tuo ruolo all’interno di questa Associazione?

In Italia lavoravo nell’ufficio tecnico di un’azienda metalmeccanica. Non avevo grandi progetti per il futuro. Il lavoro mi piaceva e cercavo di farlo al meglio. Ho avuto momenti da “artista”, facendo parte del Coro la Mirabella e anche di un gruppo di giovani che si dilettava nel preparare rappresentazioni sacre. Per il resto cercavo di vivere la vita nel modo più sereno possibile.

Arrivato in Brasile, dato che sono diplomato come perito meccanico all’ITIS di Brescia, nel primo periodo mi è stato chiesto di dare una mano a fratel Vezzoli, un religioso piamartino come padre Luigi, che nella sua officina metalmeccanica, funzionante all’interno dell’istituto, si preoccupava di dare una professione ai giovani a lui affidati.

Poi mi sono trasferito a Pacoti dove Lieta, con l’aiuto di poche persone brasiliane, portava avanti una casa con più di 250 bambini. Li mi è servita un’altra dote ereditata dai Faustini che è quella di arrangiarsi a riparare tutto quello che si rompe e devo dire che nel mezzo a nulla con niente a disposizione, all’inizio non è stata un’impresa da poco.

Come vedevi il tuo futuro, quando il pensiero di sbarcare in Brasile era ancora lontano da te?

Cercavo e speravo di non essere ipocrita, anche se non sempre ci si riesce. Il fatto di dover mostrare agli altri, a seconda delle occasioni, quello che non ero, era un peso che facevo sempre più fatica a sopportare. Accettarsi per quel che si è, non è sempre facile. Ma credo che mentire agli altri e a se stessi per tutta una vita, sia ancora più difficile.

Quali progetti avevi prima di partire, e quali sono i tuoi progetti futuri?

Prima di partire, non avevo grandi progetti. Volevo solo, come ti ho detto prima, fare un’esperienza. Volevo mettere alla prova il mio essere cristiano. Volevo davvero capire chi fossi e cosa volevo, perché facevo molta fatica a mostrarmi agli altri a seconda delle occasioni. A volte ci viene chiesto quali sono i nostri progetti per il futuro. La speranza nostra è che le cose qui possano migliorare e che le famiglie riescano ad avere una vita dignitosa. Il nostro futuro, vicino o lontano, lo vediamo a Paderno, nella nostra Franciacorta. Ma… l’uomo propone, e Dio dispone!

Facciamo un passo indietro. Come hai conosciuto l’Associazione Lieta?

Era il gennaio 1984, quando, a bruciapelo, arriva l’invito di Lieta. Una ragazza che conoscevo poco e, soprattutto, che non sapevo nemmeno che fosse in Brasile. Mi chiedeva di andare a trovarla e dare una mano a lei e a padre Luigi Rebuffini. Un invito che, subito, non ho preso in considerazione; però, con il passare del tempo, l’idea di lasciare per qualche mese tutto il mio “ambaradan” di cose da fare per partire, andare lontano e dare una mano a chi si stava dedicando ai più bisognosi, mi è sembrato il modo più facile per verificare sul campo fino a che punto sarebbe arrivata la mia disponibilità verso il prossimo. Una prova molto differente dal cercare di provarci continuando la mia vita di tutti i giorni.

Una volta arrivato qui, mi sono reso conto veramente che c’era bisogno di una mano, anzi due. Ho visto molta povertà, molta gioventù senza prospettive di una vita degna. Ho visto padre Luigi (sacerdote piamartino) e Lieta impegnati in un’opera grandiosa. Ho capito che potevo davvero essere utile, fare la mia parte e che, però, non sarebbero bastati pochi mesi. Non sarebbero serviti a nulla.

A Paderno, i Faustini sono conosciuti per la loro disponibilità verso chi ha bisogno di una mano. Non immaginavo nemmeno lontanamente che questa caratteristica potesse essere trasmessa via DNA.E invece… Ho chiamato a casa e in azienda dicendo che non sarei rientrato per la data prevista.

Come hanno reagito a casa nel ricevere quella telefonata?

All’inizio, i miei genitori, erano molto preoccupati; pensavano che io stessi scappando da qualche delusione o cose del genere. Ma poi hanno capito che stavo solo mettendo in pratica l’esempio con il quale mi hanno cresciuto. Certo, magari avrebbero preferito che lo facessi un po’ più vicino, ma… questa era la realtà che mi aveva chiamato, e nella quale potevo mettere alla prova il mio vivere da cristiano.

Raccontaci, invece, del tuo rapporto con Lieta. Da una conoscenza quasi superficiale, quest’anno ricorre il ventesimo anniversario di matrimonio.

La collaborazione con Lieta, una ragazza davvero speciale, con un nome che è tutto un programma, si è trasformata in una forte amicizia. E l’amicizia si è trasformata in amore.

Così, anche se la decisione di arrivare al matrimonio non è stata facile, il 23 giugno del 2001 ci siamo sposati. Il timore principale era che la nostra unione, con la nascita di una famiglia, potesse diminuire la nostra dedicazione verso coloro che ci erano stati affidati. E lo stesso timore lo avvertirono anche all’interno della congregazione piamartina con la quale collaboriamo strettamente. Anche a loro sorsero dei dubbi in relazione a quale potesse essere il nostro impegno dopo il matrimonio.

Ma il Signore sa come trasformare i dubbi e i timori in certezze, basta affidarsi a lui. Ed è quello che ci viene chiesto di fare ogni giorno, nel servizio del quali ci siamo fatti carico.

Raccontata così sembra che la nostra scelta non abbia comportato rinunce, ma, come tutti sanno, la rinuncia è l’inevitabile conseguenza di ogni scelta. Vivere lontano dalla famiglia è certamente quella più pesante. Tutto il resto che possiamo aver lasciato, come promette il vangelo, ci è stato reso cento volte tanto. La gioia di vivere della gente, nonostante la povertà, è quello che più mi meraviglia, da quando sono arrivato in Brasile.

Come è la vita di un franciacortino all’estero? Quali sono le principali differenze con l’Italia?

Ci viene chiesto spesso quali sono le differenze tra Brasile e Italia. Innanzi tutto, è bene precisare che il Brasile è quasi un continente e quindi molto diverso tra nord e sud, tra est e ovest. Nel Nordest, dove ci troviamo noi, non esistono le quattro stagioni e già questa è una differenza enorme. Per sette mesi all’anno non piove ma le piogge non sono sicure nemmeno nel resto dell’anno. Ma la grande differenza sta nel ritmo della vita. La prima parola che si impara è “calma” (uguale come in italiano). La frenesia di noi franciacortini, bresciani, è messa a dura prova ma presto s’impara a trovare la giusta misura tra i due estremi.

Ripensando alla Franciacorta, quale luogo ti è rimasto nel cuore?

Ovviamente Paderno Franciacorta di cui, con molto orgoglio, tengo a precisare che sono originario.

Se potessi portare qualcosa della Franciacorta in Brasile cosa porteresti? E dal Brasile in Franciacorta?

Porterei qui le cose che ci mancano di più; il pieno rigoglio dell’estate, e i bellissimi colori della primavera e dell’autunno. Cos’altro ci manca? È una domanda da fare a un italiano franciacortino all’estero? Il cibo e il vino buoni naturalmente. Cosa possiamo offrire all’Italia dal Brasile? La frutta è certamente insuperabile!

Come mantieni i rapporti con la Franciacorta? E prima che avesse inizio questa pandemia, ogni quanto tornavi in Italia?

I rapporti con l’Italia sono frequenti e naturalmente facilitati dalla tecnologia. Torniamo in Italia una volta all’anno, a dicembre/gennaio, quando qui la scuola è in vacanza, naturalmente prima di questa pandemia. Oltre che a stare con la famiglia ci incontriamo con le tante persone che, tramite “Operazione Lieta”, ci danno una mano. Senza di loro non riusciremmo ad andare avanti. Lo shock termico è grande ma è anche vero che il nostro organismo, nonostante gli anni, ha ancora bisogno di almeno un cambio di stagione.