Il Presidente Massetti: «Un anno nero per le “imprese in rosa” il loro impulso è fondamentale per ripartire»

«Un anno nero per le nostre “imprese in rosa”». Sintetizza così il presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia Eugenio Massetti i risultati della Survey curata dell’Osservatorio di Confartigianato Lombardia e realizzata in occasione dell’8 marzo. Più di un sondaggio quello che ha coinvolto oltre cento imprese bresciane tra le rispondenti: come noto gli effetti della pandemia si sono riverberati in modo pesante sulle donne, allargando ulteriori gap di genere nel mondo del lavoro e dell’impresa. Dal lavoro emerge come le imprese artigiane femminili bresciane lamentano un calo nel 2020 maggiore rispetto a quelle gestite da uomini: -29% contro il 24,3, perdita che cresce fino al -31,2% per le donne con difficoltà nella gestione dei tempi di cura di figli e/o parenti.

CALANO LE ASSUNZIONI – Il calo dei nuovi inserimenti in Lombardia, come nelle altre regioni, conseguenza diretta della crisi Covid -19, nonostante le misure di supporto ancora in atto, è determinato proprio della diminuzione di nuovi ingressi di donne nel mondo del lavoro: in Lombardia nel 2020 sono state 571 mila le donne entrate nel mercato del lavoro, 150 mila in meno rispetto al 2019. A Brescia: su 82mila avviamenti di donne nel 2019 se ne sono registrati 12mila in meno nel 2020 per le donne: 70.030 (-14,6%).

GAP A FAVORE – Eppure (dati Istat riferiti al 2019) i gap a favore delle donne parlano di una quota maggiore di donne 25-64 anni con almeno un diploma (+6,6 p., 67,8% donne vs 61.2% uomini), quota maggiore di donne laureate e altri titoli terziari (+13,6%, 39,8% donne vs 26,2% uomini) e quote di donne che partecipano alla formazione continua (+1 p., 9,6% donne vs 8,6% uomini). E nonostante questo, il gap negativo più evidente è quello di retirbuzione media annua delle lavoratrici dipendenti: nel 2018 una lavoratrice bresciana ha ricevuto in media meno del 36% rispetto ad un uomo, 17.049 euro di media annua lorda contro i 26.621 di un uomo.

«Persino più preparate e aggiornate degli uomini, senza contare il ruolo insostituibile e cardine all’interno delle comunità e nella famiglia: i segnali di forte disagio dal mondo imprenditoriale “in rosa” e di fronte alla situazione di emergenza prolungata non sono positivi: chiediamo risposte adeguate come misure dal punto di vista delle facilitazioni fiscali, assistenziali per la conciliazione lavoro-famiglia per poter far si che possano tornare a dare il loro impulso positivo e di stimolo ad una nuova ripresa sociale ed economica» aggiunge il presidente Massetti.

I RISULTATI DELLA SURVEY  – effettuata dal 25 febbraio al 3 marzo 2021, a cui hanno partecipato 340 imprenditrici lombarde di MPI artigiane (di cui oltre 100 da Brescia) permette di raccontare una parte dell’effetto Covid-19 sul mondo delle donne-lavoratrici-imprenditrici. Innanzitutto le donne imprenditrici a capo di MPI e imprese artigiane “al tempo del coronavirus” si definiscono flessibili, multitasking e problem-solver. Il 38,4% ritiene che lo shock pandemico ha reso molto difficile essere donna imprenditrice. Percentuale che si alza al 41,3% per quelle che regolarmente si prendono cura di persone non autosufficienti e o con figli, al 48,4% per quelle con bambini sotto i 5 anni e al 59,3% per quelle che attualmente hanno difficoltà elevate nel gestire tempi di vita e lavoro. Tra le soluzioni adottate nel 43% dei casi concede flessibilità dell’orario di lavoro, nell’11,6% dei casi concede ai dipendenti uomini flessibilità maggiore per dargli modo di condividere con le mogli/ compagne la gestione di tempo di cura e nel 6,6% dei casi concede uno o più giorni di lavoro in smart working. Il Covid-19, come noto, ha spinto la transizione digitale. Ha difatti avvicinato un numero maggiore di individui all’utilizzo di strumenti digitali per effettuare molte attività quotidiane quali la spesa di prodotti alimentari, il pagamento di bollette, la prenotazione di visite o altri appuntamenti, etc. Dalla survey si rileva che gli strumenti digitali sono stati di grande supporto per lo svolgimento sia di attività di cura che lavorative, spesso sovrapposte, per il 65% delle imprenditrici. Quota che si alza al 70% per le imprenditrici che a causa della diffusione del virus hanno visto incrementare le difficoltà di gestione di attività di cura. In particolare rispetto al periodo pre emergenza le imprenditrici hanno fatto maggior ricorso a strumenti digitali per: attività di impresa (46%), per tempo individuale/personale (41,3%), per lo svolgimento di attività di cura (35,5%) e per attività domestiche (22,3%).

A fronte dell’evidenza che lo tsunami pandemico ha contribuito a dare visibilità maggiore alle disparità di genere alla domanda “Come ridurre le differenze di genere?” le imprenditrici individuano come prioritario promuovere educazione socio-culturale per sradicare gli stereotipi di genere (52,9%), incrementare presenza donne in luoghi decisionali (governo, task force) (39,7%), introdurre un welfare aziendale volto ad armonizzare vita familiare e lavorativa (35,5%), ridurre gap retributivo (32,2%) e ripensare a modelli di business e organizzativi delle imprese (31,8%).

Le prossime conquiste che vorrebbero raggiungere, poco lontane da quelle espresse l’anno prima e l’anno prima ancora, è possibile riassumerle con alcune parole e concetti chiave : autonomia, rispetto, maternità retribuita per indipendenti, cambiamento culturale, fiducia, considerazione, condivisione tempo di cura, libertà di scelta, non dover scegliere tra lavoro e famiglia, tutele, opportunità, sicurezza, parità competenze, più tempo, nessuna rinuncia e tranquillità.

Per la coordinatrice del Movimento Donne Impresa di Confartigianato Brescia Iolanda Pasini: “Le donne imprenditrici vogliono che il loro ruolo venga maggiormente riconosciuto, chiedono una reale integrazione, di essere valutate sulla base del merito, delle capacità e delle competenze. Crediamo sia necessario ripartire da una considerazione: per raggiungere la parità nel mondo del lavoro, dovremmo creare le condizioni perché ci sia reale condivisione anche nel lavoro di cura. Infine, uno degli insegnamenti che ci lascia questa pandemia: la perdita più elevata di lavoratrici rispetto ai lavoratori in un momento di emergenza è un campanello d’allarme, che dovrebbe essere vissuto come un fallimento sul quale interrogarsi”.